STORIA DEL COMUNE D'ISOLA
- bronasta doba
- Prve naselitve ozemlja v bronasti in železni dobi
- 178 pr.n.št.
- Rimska zasedba
- 538/39
- Bizantinska oblast in Franki
- 10.stoletje
- Oglejski patriarhi in boji za cerkveno oblast
- 12.stoletje
-
Izola pod beneško oblastjo
- 23-10-1380
- La Leggenda del Miracolo di San Mauro
I primi insediamenti nell’età del bronzo e del ferro
Isola vanta una storia lunga e burrascosa. Grazie alle favorevoli condizioni di vita, il suo territorio fu infatti popolato già nell’età del bronzo e del ferro.
I primi abitanti dell’Istria furono gli Histri che sui rilievi costruirono degli insediamenti fortificati – fortilizi o castellieri. Uno di essi diede il nome a una località nei pressi del villaggio di Korte, denominata per l’appunto Kaštelir (Castelliere). Gli Histri si occupavano di agricoltura, allevamento del bestiame e caccia, quelli situati vicino al mare vivevano invece di pesca e pirateria.
La colonizzazione romana
Nell’anno 178 a.C. anche le terre su cui oggi è situata la città di Isola furono colonizzate dai Romani e rimasero sotto il loro dominio per oltre cinque secoli. Il primo insediamento sull’allora isola sorse probabilmente nel VI secolo d.C.
Gli Histri tentarono invano di resistere all’occupazione dell’Istria da parte dei Romani; nel 178 a.C. furono sconfitti. In seguito il popolo degli Histri (da cui la penisola istriana prende il nome) finì per romanizzarsi. L’imperatore romano Augusto fissò il confine dell’Impero sul fiume Arsia in Istria. Il cristianesimo arrivò in Istria da Aquileia: fino alla fine del VI secolo vennero formati vescovadi a Trieste, Capodistria, Cittanova e Pola. Un insediamento esisteva sull’isola anche nel periodo romano: risalgono al I secolo le fondamenta di una villa rustica con dei mosaici ed i resti di un porto, mentre nella località di Vilisano troviamo i resti di una mattonaia e di un altro porto. Nel VI secolo, periodo delle grandi migrazioni dei popoli, dall’entroterra gli abitanti romani si rifugiarono nelle città istriane costiere. Fu allora che sull’isola probabilmente si formò un insediamento minore chiamato Haliaetum. Nel 1700, nella sua opera intitolata Corografia Ecclesiastica, monsignor Paolo Naldini sostenne che Isola fu fondata dagli Histri romanizzati rifugiatisi sull’isola per sfuggire agli Unni che verso la metà del VII secolo devastarono l’Istria. Secondo Pietro Coppo, invece, Haliaetum fu costruita dagli abitanti di Aquileia che verso la metà del V secolo giunsero sull’isola e vi si rifugiarono per ripararsi dagli Unni.
Il dominio dei Bizantini e dei Franchi
Dopo il periodo transitorio del dominio dei Goti, nel 538/39 Istria finì sotto il dominio di Bisanzio. Nel 776 l’Istria fu occupata dai Franchi che abolirono l’ordinamento romano-bizantino per sostituirlo col feudalesimo. Nei secoli VII e VIII ebbero inizio gli insediamenti degli Slavi.
Il periodo transitorio che seguì fu il periodo del dominio dei Goti. Poi, nel 538/39 l’Istria finì sotto l’Impero bizantino (o Impero romano d’Oriente). Più tardi Istria subì invasioni e devastazioni da parte dei Longobardi, degli Slavi e degli Avari, che si protrassero fino agli inizi del VII secolo. Nel 751 i Longobardi sconfissero i Bizantini e conquistarono Ravenna, il centro del potere bizantino nel nord Adriatico; i Veneziani non mancarono a cogliere l’opportunità per liberarsi dal dominio di Bisanzio.
Nel 776, i Franchi batterono prima i Longobardi; nel 778 vinsero anche i Bizantini e occuparono l’Istria. Il predominio dei Franchi cambiò radicalmente i rapporti sociali in Istria poiché abolì l’ordinamento romano-bizantino e introdusse l’ordinamento feudale.
Nell’804, nel Placito del Risano vennero esposte le recriminazioni dei borghi istriani contro l’introduzione del feudalesimo e contro l’insediamento degli Slavi nelle immediate vicinanze delle città. I Franchi concedettero l’autonomia alle città della costa istriana occidentale; queste però avrebbero voluto liberarsi completamente dell’autorità feudale. A questo punto iniziarono a collegarsi con Venezia che dopo la disfatta di Bisanzio prese il controllo sull’area del nord Adriatico.
La prima menzione documentata di Isola: Liber Albus
Isola viene citata per la prima volta in una fonte del 932: il suo nome, Insula, appare nel Liber Albus, un documento vergato da Venezia, dove figura un Georgius de Armentressa de Insula.
Isola viene citata per la prima volta come Insula in una fonte del 14-1-932 e precisamente nel Liber Albus. Nel documento veneziano, tra i Capodistriani che si impegnarono a cedere volontariamente ogni anno 100 anfore di vino (amphoras centum) al doge veneziano Pietro II Candiano, figura anche un abitante di Isola, un certo Georgius de Armentressa de Insula. Il conte di confine istriano Vintero (Winther) non fu d’accordo con Capodistria: con i suoi uomini continuava ad attaccare i poderi del Patriarcato di Grado e i poderi veneziani in Istria, e ad appropriarsi dei dazi; ai Veneziani in Istria imponeva dazi straordinari, saccheggiava le navi veneziane e uccise numerosi Veneziani.
Il doge veneziano Pietro II Candiano introdusse diverse sanzioni economiche e vietò ai Veneziani di venire in Istria e agli Istriani di andare a Venezia. Vintero pertanto si rivolse a Marino, patriarca di Grado, chiedendogli di mediare la pace presso il doge veneziano. Il 12.3.933 a Rialto vicino a Venezia fu firmato il trattato di pace in cui i notabili istriani si fecero carico di difendere i poderi veneziani in Istria. La carta fu firmata dai rappresentanti della maggior parte delle città costiere istriane: Capodistria, Pola, Trieste, Muggia, Pirano e Cittanova. Per Venezia la pace significò la vittoria e la convalida dei privilegi nei confronti della costa istriana occidentale.
Istria – parte del Ducato di Carinzia e del Ducato di Baviera
Nel 952 l’imperatore tedesco Ottone I, insieme alla Marca di Verona (ex Ducato del Friuli) annette l’Istria allo stato tedesco come parte del Ducato di Baviera. Nel 976, Ottone II di Sassonia erige la Carinzia a ducato autonomo, includendovi l’Istria e la Marca di Verona e rafforzando così l’influenza tedesca in Istria.
Alla metà del secolo XI l’imperatore tedesco Enrico III diede l’Istria in feudo a Udalrik Wiemaier; Istria divenne una contea di confine autonoma. Rimase sotto i feudatari tedeschi fino al 1208, anno in cui l’imperatore tedesco Ottone IV conferì al Patriarcato di Aquileia il dominio secolare su gran parte dell’Istria: i patriarchi di Aquilea divennero così i conti di confine istriani. Le città sulla costa occidentale istriana che si opponevano alla centralizzazione del dominio prima contro i Franchi e poi contro i Tedeschi, si rivolsero a Venezia perché li sostenesse nella loro battaglia per l’autonomia. Le città istriane si opposero anche al tentativo del Patriarca di Aquilea di potenziare l’autorità centrale nella contea di confine di Istria.
Nel X secolo, lo status di città (civitas) spettava unicamente alle città che erano anche sedi dei rispettivi vescovadi. Le altre città, tra cui anche Isola, venivano chiamate “terre”. Nel IX e X secolo, il commercio marittimo nell’Adriatico fu fortemente ostacolato dai Saraceni e dai Croati: alcune città pertanto rafforzarono ulteriormente i legami con Venezia. Nel 977, Capodistria e Venezia riconfermarono l’accordo del 932. Capodistria s’impegno che in caso di conflitti tra Venezia e le città istriane si sarebbe mantenuta neutrale. Dopo l’anno 1000 cominciò il graduale sviluppo economico delle città costiere in Istria. Tra i settori più importanti c’erano la produzione dell’olio, la viticoltura, la produzione del sale, la pesca e il commercio marittimo.
Isola donata ai Veneziani
Nell’anno 972 l’imperatore tedesco Ottone I cedette Isola in dono al veneziano Vitale Candiano. Nel 976 Vitale Candiano IV, patriarca di Grado e figlio del doge Pietro Candiano, vendette Isola a Rodoaldo, patriarca di Aquilea.
Il giorno 8-1-972 l’imperatore tedesco Ottone I donò Isola al veneziano Vitale Candiano, fratello del doge veneziano Pietro Candiano. La carta dispose che a nessun duca, conte di confine, vescovo o conte … è permesso di turbarlo, pena il pagamento di 1000 libbre del “miglior” oro, metà per l’imperatore e metà per Candiano. Nel 976 Vitale Candiano IV, patriarca di Grado e figlio del doge Pietro Candiano, vendette Isola a Rodoaldo, patriarca di Aquilea. Il 16-4-977 l’imperatore tedesco Ottone II, su richiesta di Enrico, duca di Carinzia, confermò al patriarca Rodoaldo e ai suoi successori il diritto di proprietà della borgata istriana di Isola con tutte le sue pertinenze e tutti i dazi da case e altri servizi che gli abitanti di Isola erano già soliti pagare alla signoria reale.
I patriarchi di Aquileia e le lotte per il potere ecclesiastico
Isola rimase in possesso dei patriarchi aquileiensi quasi fino alla fine del XIII secolo. Quando il potere del patriarcato cominciò a diminuire, anche Isola, che tanto si sforzava per l’autonomia, dovette riconoscere il predominio dei Veneziani.
I patriarchi di Aquilea
Tra il patriarcato aquileiense e quello gradese, le lotte per il potere ecclesiastico in Istria iniziarono già nel 568.
L’imperatore franco Carlo Magno assegnò l’Istria a un patriarca di Grado. Nell’827 il Concilio di Mantova conferì il potere in Istria al patriarca di Aquileia. Le lotte tra i due patriarcati per il potere ecclesiastico in Istria proseguì per tutto il IX secolo. I patriarchi di Aquilea si guadagnarono le simpatie degli imperatori tedeschi che ripagarono la loro fedeltà donandogli nuovi poderi, sebbene gli imperatori Ottone I e Ottone II garantirono al patriarca di Grado l’immunità e gli riconfermarono il diritto ai poderi ed al potere giudiziario.
Il 2.4.974, Ottone II confermò al patriarca gradese l’investitura feudale su alcune città in Istria, tra cui Capodistria e Pirano, con tutti i diritti. Il relativo documento cita che Capodistria e Pirano hanno il diritto di difendersi con il proprio esercito e che governano tutti i loro affari secondo le proprie leggi.
Nel 1024 salì al trono Conrado II che diede la contea di Istria in dono a Poppone, l’allora patriarca di Aquilea. Poppone approfittò dei turbamenti politici a Venezia in seguito ai quali furono costretti a fuggire da Venezia il doge e da Grado il patriarca. L’esercito di Poppone invase Grado e la saccheggiò. Poppone godeva del sostegno del nuovo imperatore tedesco, perciò il Papa nel 1027 gli concesse il diritto a Grado. Nel 1042 il patriarca saccheggiò Grado per la seconda volta. L’11-6-1077 l’imperatore tedesco Enrico IV conferì al patriarca aquileiense Sigeardo di Beilstein la contea di confine istriana in proprietà permanente.
Il 23-7-1031, Poppone, patriarca di Grado, donò Isola in feudo (beneficium) al Monastero di S. Maria Vergine presso Aquileia, compresa la magistratura, i dazi, la servitù pubblica della gleba e tutte le superfici, lavorate o meno. Il monastero ricevette in dono anche la cappella di San Pietro a Isola. L’abbadessa di Aquilea governò Isola con l’aiuto del gastaldo, del giudice, della giuria e del notaio. Il magistrato più importante fu il gastaldo (gestore del podere monasteriale) che l’abbadessa cambiava ogni tre anni. Incassava le gabelle e i dazi, custodiva tutti i redditi monasteriali, con l’aiuto del giudice conduceva i processi penali; la giuria decideva in caso di liti tra il comune e il monastero riguardo ai redditi del monastero.
Nel 1139, il patriarca aquileiense Pellegrino riconfermò all’abbadessa Heilika il possesso del monastero di Isola con tutte le pertinenze.
La parrocchia di San Mauro
La parrocchia isolana di San Mauro viene citata per la prima volta il 3-12-1082 nel documento del vescovo triestino Eriberto che cedette la parrocchia isolana alla Chiesa capodistriana di Maria Vergine, compresi i quartesi (quarti delle decime) e tutte le offerte che sarebbero state raccolte in chiesa. Nel documento respinse la richiesta degli abitanti di Isola, ecclesiastici e profani, che la parrocchia potesse battezzare i propri bambini, conferendo tale diritto alla Chiesa di Capodistria.
La tutela di Venezia
Nel 1145 Pola, Capodistria e Isola (all’epoca ancora parte di Capodistria) si opposero a Venezia, ma Venezia le sconfisse e le forzò a “giurare fedeltà” (facere fidelitatem) al doge veneziano, ed a impegnarsi ad armare a proprie spese almeno una galea ogni 15 venete e di aiutare Venezia in caso di guerra. Queste galee, complete dell’equipaggio capodistriano o isolano, avrebbero dovuto navigare sotto la bandiera veneziana, però solo fino a Ragusa sulla costa adriatica orientale ovvero fino ad Ancona dall’altra parte.
Quando i Veneziani sconfissero anche le altre città costiere, il doge veneziano si proclamò “Istriae dominator”.
Capodistria con Isola smise di opporsi a Venezia che in cambio, nell’anno 1148, concesse per il periodo di 29 anni il diritto di commerciare in sale al porto di Capodistria come unico porto istriano.
Le liti per le decime ecclesiastiche a Isola
Le decime ecclesiastiche furono un continuo punto di controversia tra le autorità della chiesa, in quanto costituivano un’ingente parte delle entrate. Nel 1149 il vescovo triestino Bernardo riscuoteva le decime tramite le incursioni del suo esercito; per due anni Muggia, Capodistria, Isola e Umago riuscirono a resistere agli attacchi dell’esercito episcopale.
Nel 1165 l’abbadessa Wilpurga (Wiliperta) del monastero di Aquilea consentì agli Isolani di popolare il Monte Albuciano, un castelliere presso il villaggio di Korte. Il relativo documento dispone che gli abitanti di Isola che avrebbero popolato Albuciano avrebbero dovuto consegnare ogni anno al monastero di Aquileia 100 urne (recipienti) di vino, spettando loro gli stessi diritti, onori e dazi che sono di consuetudine a Isola (consuetudines terre Insulae). Fu presente anche Anvaldo, il gastaldo monasteriale di Isola.
Nel 1166 il patriarca aquileiense Ulderico annunciò che il vescovo triestino e capodistriano Bernardo (Wernhard) aveva assegnato al monastero di Aquilea ovvero all’abbadessa Ermelinda la decima di Isola. Fino ad allora la decima era di spettanza del conte goriziano Engelberto che vi rinunciò a favore del monastero.
Nel 1173 il patriarca d’Aquilea Ulderico II riuscì a comporre la controversia relativa alle decime di Isola, creatasi tra l’abbadessa Ermelinda e il suo feudatario Almerigo da Muggia a cui l’abbadessa aveva ceduto in feudo le decime di Isola. Per il feudo in questione, Almerigo giurò all’abbadessa fedeltà e le promise 3 marche in argento.
Il 27-4-1174 Papa Alessandro III riconfermò al monastero l’investitura feudale su Isola, compresi la magistratura, i dazi, la servitù pubblica della gleba e tutte le pertinenze, comprese le decime e la cappella di San Pietro che il vescovo di Trieste aveva assegnato alla chiesa di S. Maria a Capodistria.
Il 25-8-1175 il patriarca di Aquilea Ulderico II convalidò il documento di donazione del 1136, “comprese tutte le sentenze, la servitù della gleba e tutti i terreni, lavorati o meno, nonché la magistratura, i dazi e la servitù pubblica della gleba”. Al monastero toccarono 100 urne di vino (un’urna conteneva circa 60 litri), le decime e la cappella di San Pietro a Isola.
Il documento di donazione venne in seguito più volte riconvalidato dai patriarchi di Aquilea e addirittura da papi. Una lite relativa alla decima di Isola insorse anche tra il vescovo Aldigero di Capodistria e il monastero di Aquilea.
Il 9-3-1189 il patriarca Goffredo di Aquilea annunciò ai suoi vassalli e feudatari che dopo la morte di Almerigo da Muggia l’abbadessa aveva deciso di tenersi le decime di Isola che gli aveva ceduto in feudo.
I quartesi (quarti delle decime) capodistriani a Isola
Nel 1177 i canonici di Capodistria rivendicavano il possesso di alcuni poderi ad Albuciano sopra Isola. Ulderico, patriarca di Aquilea, stabilì che i canonici capodistriani dovevano restituire ai canonici triestini la parrocchia di Sicciole e i poderi ad Albuciano.
Il capitolo capodistriano dava i quartesi di Isola in affitto. Così nel giugno del 1202 il decano capodistriano Pietro assegnò in affitto a vita ad un certo Albino di Isola e a sua moglie Elica i quartesi isolani da grano, vino, legumi ed altri redditi e affitti, escludendo solo le parti prime da formaggi e i quarti da agnelli e polli che i canonici tennero per se. In compenso, Albino e la moglie dovevano donare ai canonici capodistriani ogni anno, per la festa di San Michele, 50 urne di vino e il primo anno anche 50 staia di grano. Dovettero inoltre consegnare, ogni secondo anno, 50 staia di grano in cambio del grano da Albuciano e 30 staia per quello dalla valle.
Un’altra lite insorse agli inizi del XIII secolo: il 6-8-1205 gli abitanti di Muggia, Umago e Isola si opposero con l’esercito al vescovo capodistriano che aveva nuovamente preteso da loro la decima.
La controversia tra il capitolo capodistriano e il monastero di Aquilea relativa alle decime di Isola si protrasse fino al 18-10-1225, quando grazie all’intervento del patriarca di Aquilea venne deciso una volta per tutte che la decima di Isola spettava al monastero di Aquilea, mentre i quarti delle decime rimasero di spettanza del capitolo di Capodistria.
Le tendenze all’autonomia
A differenza delle città dell’entroterra, fondate dai feudatari ai quali competeva anche di assegnare alle stesse i diritti civici, le città costiere dell’Istria conservarono in parte l’autonomia ottenuta già nel periodo romano-bizantino. Le città costiere disponevano dei propri giudici (iudices) che sotto i Franchi venivano chiamati scabini. A capo delle città c’erano i locopositi, nominati dalle autorità centrali.
Il processo di liberazione delle città dalle autorità feudali ed ecclesiastiche e la lotta per l’autonomia ebbero inizio nel XII secolo. In questa lotta le città furono sempre più supportate da Venezia. Le città istriane si ribellavano contro l’autorità feudale del patriarca di Aquilea e ricorrevano sempre più spesso a Venezia la cui flotta si aveva già assicurato la supremazia sul mare. I cittadini iniziarono a fondare comuni: così nel 1186 fu formato il comune di Capodistria di cui faceva parte anche la “villa” (il villaggio) di Isola. Il comune di Pirano fu invece fondato nel 1192.
I cittadini eleggevano i consoli, i rettori e in seguito i podestà. L’assemblea popolare, il cosiddetto arengo, agli inizi aveva il sommo potere. In seguito i rappresentanti eletti dal popolo s’innalzarono sopra gli altri, in quanto grazie alle loro posizioni aumentarono anche le loro ricchezze. Più in là i membri delle famiglie benestanti costituirono i consigli municipali che verso la fine del XIII secolo, seguendo l’esempio veneziano, si chiusero (“serrata”) e non accettavano nuovi membri.
Per tutto il tempo Isola voleva liberarsi dell’autorità feudale del monastero di Aquilea e richiese varie volte di nominare il proprio gastaldo. Ebbe successo il 25-11-1220, quando fu nominato a gestore del monastero – gastaldo – uno dei loro uomini, sempre comunque con il permesso dell’abbadessa. Nel contratto entrambe le parti si impegnarono a scegliere il gastaldo di comune accordo. Nel documento si parla del Comune di Isola (Comune de Insula) e della parte “più ragionevole” dei cittadini isolani. Per la violazione di questo contratto fu stabilita la pena pecuniaria di 10 marche in argento puro. L’abbadessa Giselrada acconsentì ad investire Adeloldo da Isola della carica di gastaldo per i tre anni successivi, concedendogli anche il diritto di assegnare i servizi. All’atto di nomina Adeloldo dovette giurare che avrebbe agito con fedeltà e per il bene del monastero.
Il 20-10-1225 tra il monastero e Isola fu firmato una documento con la quale l’abbadessa riconquistò il diritto alla nomina del gastaldo, del giudice e del notaio a Isola.
Il 20-2-1241 dovette di nuovo intervenire il patriarca Bertoldo di Aquilea per riconvalidare all’abbadessa Herburga (o Erburga) il documento che il patriarca di Aquilea Goffredo ebbe emanato il 9-3-1184 a riguardo delle decime di Isola.
Il tramonto dei patriarchi di Aquilea
Alla metà del XIII secolo il patriarca Bertoldo di Aquilea continuava a perdere il suo potere sulle città istriane. Il 14-2-1251 il nuovo imperatore tedesco Corrado venne a Portorose. A Pirano l’imperatore pubblicò l’editto (ordine imperiale) con cui al patriarca di Aquilea tolse l’autorità di conte di confine istriano, e concesse alle città e ai comuni istriani i diritti amministrativi e giudiziari. Con ciò ebbe fine il dominio feudale del monastero d’Aquilea a Isola che però mantenne il diritto alle decime e il diritto ai canoni di affitto e locazione.
Il 1-5-1253 a Isola si riunì il Consiglio generale (i consigli Maggiore e Minore congiuntamente). La riunione si tenne al palazzo cittadino con l’obiettivo di calmare le controversie col monastero di Aquilea. Nel documento della riunione si parla del palazzo cittadino (municipio), del consiglio generale (maggiore e minore), di 3 consoli, dei deputati, dei giudici, degli avvocati, dei procuratori e di un notaio. Lo stesso anno fu eletto podestà Landoneo da Montelongo.
La prima menzione documentata del Comune Isolano
Il 20-12-1189 il patriarca Goffredo di Aquilea designò al monastero di Aquileia la decima dell’olio e di altri prodotti di Isola, imponendo all’abbadessa Ermelinda l’obbligo di rimborsare il vescovo di Capodistria con 10 marche per le spese, e di offrire ogni anno in menzione a questo contratto una libbra di incenso.
In questo documento viene per la prima volta citato il Comune di Isola.
Il diritto di Isola ad amministrare i battesimi
Il 3-6-1212 in presenza del vescovo triestino Aldigero fu firmato un accordo tra i canonici di Capodistria e i clerici di Isola rappresentati da Pietro, “magister shole ac hori”, e dal sacerdote Giovanni. Con questo accordo la parrocchia di Isola conquistò il diritto di battezzare i bambini isolani. Fino ad allora gli Isolani dovevano portare a battezzare i loro bambini a Capodistria. Ai canonici di Capodistria rimaneva un quarto del grano e del vino di Isola, e le parti prime di formaggio, agnelli e polli, come era consuetudine. Ogni anno per la festa di San Martino i clerici di Isola dovevano consegnare ai canonici di Capodistria 4 libbre di denaro “vero”. In accordo con le usanze, ai canonici di Capodistria spettava la metà delle offerte raccolte per le feste di San Mauro e San Sisto. Tutti gli altri redditi della chiesa spettavano ai clerici di Isola. La parte che avesse rotto l’accordo avrebbe dovuto rendere alla parte opposta una libbra del “miglior” oro. In questo contratto viene menzionata per la prima volta la cappella di San Mauro.
Nel 1212 il patriarca Volchero conferì parte del territorio di Isola in feudo alla famiglia Castro da Capodistria, mentre un anno prima l’abbadessa Elica assegnò il monastero di San Basso, situato al lato isolano della valle di Strugnano, in feudo alla chiesa piranese di San Giorgio. Negli anni 70 il podere del Comune di Isola venne ulteriormente ridotto con la perdita del podere dell’Isolano H. Gosmarus che lo regalò al monastero di San Basso.
Isola – comune indipendente
Nel 1247 Isola procedette, senza il consenso dell’abbadessa Herburga, alla nomina di Provenzano a proprio podestà. Nonostante l’abbadessa avesse richiesto il suo ritiro, Provenzano non fu sospeso dalla carica. Pian piano Isola diventò un comune sempre più autonomo. In seguito alla comparsa del podestà il potere del gastaldo cominciò a diminuire rapidamente.
Isola sotto il domino di Venezia
Nel periodo in cui Isola fu sotto il dominio di Venezia il suo sviluppo fu condizionato, oltre che dai dissidi tra le città e delle guerre, anche dalle frequenti epidemie, soprattutto di peste, che imperversavano queste terre finendo a sterminare abitati interi.
Dal XII secolo in poi lo sviluppo di Venezia prese la direzione di una repubblica oligarchica di nobili dove il potere era in mano del Maggior Consiglio. A decorrere dal 1323 in Consiglio si componeva unicamente dei membri di antiche famiglie di nobili. Nel XV secolo, dal Maggior Consiglio gradualmente sorse il Senato o Consiglio dei Pregadi che deliberava la politica interna ed estera, l’amministrazione, la politica economica e le finanze dello stato.
Dopo il 1208 il patriarca di Aquilea, divenuto conte di confine, iniziò a nominare nelle città i propri rappresentanti, i gastaldi. In seguito, tra i patriarchi e Venezia insorse un conflitto per il predominio sull’Istria che si protrasse per ben mezzo secolo. Nel 1267, nella guerra tra il patriarca Gregorio di Aquilea e il Conte Alberto II di Gorizia, Isola assieme a Pirano e Capodistria si schierò con il Conte di Gorizia, stipulando con lui un’alleanza militare. Quello stesso anno il Conte di Gorizia fece rinchiudere il patriarca Montelongo: dopo la sua morte nel 1269 la carica di patriarca rimase non ricoperta fino al 1274.
Il domino dei Veneziani
Venezia approfittò dell’assenza del patriarca di Aquilea in Istria per aumentare la propria influenza. Lo stesso anno la Serenissima emanò un’ordinanza secondo la quale avrebbe offerto protezione unicamente a quelle città che le si sarebbero arrese di loro spontanea volontà. Molti comuni elessero a podestà dei Veneziani. Nel 1274 Raimondo della Torre divenne patriarca di Aquilea e costrinse le città istriane alla fedeltà ed alla collaborazione nelle operazioni militari contro Venezia. Quello stesso anno gli Isolani dimostrarono la propria fedeltà ai patriarchi aquileiensi radendo al suolo la Torre di Pinguente e numerosi castelli in Istria.
Il 27-7-1278, durante la guerra di Venezia contro Ancona e il Conte Alberto II di Gorizia, le città di Pirano, Isola e Buie firmarono a Pisino un accordo con il Conte ed iniziarono ad attaccare i comuni schieratisi con Venezia. Quando Alberto e Venezia firmarono l’armistizio, la situazione delle città che avevano combattuto contro Venezia si capovolse. Nel 1279 Venezia le attaccò con le truppe della marina e della fanteria. Invasero Isola e la occuparono, ne demolirono la cinta e – benché avessero trovato la città quasi completamente deserta – fecero i conti con nemici sequestrandone tutti i beni. Dopo Isola i Veneziani occuparono Capodistria e nel gennaio del 1283 anche Pirano.
Quando il 4-5-1280 Isola cadde nelle mani di Venezia le fece la promessa che avrebbe pagato al podestà 600 lire all’anno. Nel 1280 terminò la giurisdizione del monastero di Aquilea su Isola; il monastero mantenne comunque il diritto alle decime ed ai canoni di affitto e locazione.
Seguì la guerra tra il patriarca di Aquilea e il Conte di Gorizia contro Venezia. Questa guerra si protrasse (con una breve interruzione dal 1285 al 1287) fino all’armistizio del 1291, lasciandosi dietro una scia di devastazione e miseria. Il potere di Venezia in Istria si rafforzò ulteriormente.
Dopo la conquista delle città istriane i Veneziani iniziarono a parlare del Nord Adriatico come del Mare di Venezia: tutti i porti dovevano essere aperti alle navi mercantili e militari veneziane. Dai porti dell’Adriatico le merci dovevano essere portate prima a Venezia. Alle città occupate Venezia lasciò l’autonomia interna con il consiglio municipale. Il senato veneziano nominava i sovrintendenti all’amministrazione civica – i podestà, impartendo loro precise istruzioni (“commissioni”) su come governare la città. Le amministrazioni delle città istriane si basavano sul Maggior Consiglio come organo rappresentativo della nobiltà del luogo e sul Minor Consiglio quale organo esecutivo dell’amministrazione civica. Al resto degli abitanti l’accesso agli organismi dell’amministrazione civica era vietato.
Dal punto di vista militare le città dell’Istria occidentale dal 1301 erano subordinate al capitano regionale che dopo il 1358 ricevette il titolo di capitano di Raspo.
Per quanto riguarda Capodistria, Isola e Pirano, l’autorità militare e giuridica competevano al podestà e capitano di Capodistria.
I dissidi tra le città e le guerre
Il 14-1-1347 Isola insorse contro Venezia; il senato veneto ordinò di rinchiudere tutti i cittadini ribelli.
Il 6-3-1348 ebbe inizio il processo contro Pietro de Ursignano, capo dei ribelli. Alcuni Isolani dovettero andare a difendersi a Venezia per non veder confiscati tutti i loro beni; altri vennero mandati al confino dai Veneziani. Dopo la rivolta, Venezia ridusse ulteriormente l’autonomia del comune di Isola. I commercianti veneti ricevettero a Isola gli stessi diritti dei commercianti isolani, ai quali invece toccava pagare il dazio per le merci che portavano nel territorio della Serenissima e venderle a prezzi prestabiliti. Soltanto la merce avanzata poteva essere venduta altrove. Gli Isolani, come del resto anche tutti gli altri Istriani, dovevano pagare a Venezia la decima delle olive, il dazio per il torchio e la decima del vino.
La guerra per l’Istria
Negli anni 50 del XIV secolo ebbe inizio una lunga guerra tra Venezia da una parte e Genova, sostenuta dal patriarca di Aquilea, da Trieste e dal Re Sigismondo d’Ungheria, dall’altra. Il patriarca voleva riconquistare le terre perdute in Istria, il Re d’Ungheria aspirava alla Dalmazia, Genova era invece interessata al predominio nel campo del commercio marittimo nel Mediterraneo. Nel 1351 Isola fu costretta a procurare a Venezia 40 soldati armati a sue stesse spese. Nel 1379 Venezia fu sconfitta dalla flotta genovese guidata dal condottiere Pietro Doria.
Il 22-3-1379 le milizie del patriarca di Aquilea sbarcarono a Isola e la conquistarono. Il podestà di Isola si rifugiò a Capodistria. Il 25-8-1379 i podestà Marco Giustiniani di Capodistria, Fantino da Mosto di Pirano e Vito Bon di Umago, costretto a fuggire dalla sua stessa città, attaccarono Isola. Le truppe capodistriane e piranesi sbarcarono a Isola e riuscirono a conquistarla, sebbene a prezzo di una dura lotta in cui 106 soldati del patriarca vennero uccisi ovvero disabilitati, e tutti gli altri si arresero. Pochi giorni dopo le truppe aquileiensi furono scacciate anche dal paese di Albuciano.
Nel 1380 la flotta di Genova costrinse le città istriane a riconoscere la supremazia del patriarca di Aquilea. Doria invase Capodistria senza però riuscire a conquistarne la fortezza. I suoi uomini saccheggiarono e devastarono l’entroterra istriano.
Lo stesso anno Istria fu raggiunta da un ammiraglio veneto con una flotta di 47 navi e galee che attaccarono e sconfissero a Capodistria le milizie del patriarca e catturarono 400 dei suoi soldati. La guerra dei Genovesi sostenuti dal Re di Ungheria contro la Serenissima si concluse con la pace di Torino (1381) che ripristinò lo stato antecedente la guerra. La Serenissima ottenne altre terre nell’entroterra istriano e regolò i conti con i seguaci del patriarca; a Isola arrestò il cittadino Bonascuoto, accusandolo di aver complottato la resa di Isola al patriarca.
All’inizio del XV secolo erano ancora in corso accanite lotte tra Venezia e il patriarca di Aquilea, sostenuto del Re di Ungheria intenzionato a limitare il potere della Serenissima sulle coste orientali dell’Adriatico e a ripristinare il potere del patriarca di Aquilea in Istria.
Nel 1411, durante la guerra tra l’Ungheria e Venezia, raggiunse i pressi di Isola il fiorentino Filippo Scolari (Pippo Spano) che dopo esser stato sconfitto nella battaglia di Treviso si rifugiò in Istria assieme al resto delle truppe: con 3000 membri della cavalleria del Re Sigismondo di Ungheria si fermò nei pressi della Chiesa di San Lorenzo non lontano dalla città. Dato che nel 1411 Isola fu già ben fortificata, grazie al podestà Nicolò Minio che aveva fatto ristrutturare la cinta e costruire una torre di difesa sopra l’entrata nella città, Pipo Spano non attaccò Isola e con il suo esercito si spostò in Istria. La leggenda narra che San Mauro salvò Isola facendo calare su di essa una fitta nebbia che confuse i soldati e impedì a Scolari di conquistare la città.
Nel gennaio del 1413 Isola respinse l’attacco dei soldati del patriarca di Aquilea Ludovico di Teck; per questo il 2-10-1413 il senato di Venezia acconsentì che Isola, viste le vittime e i danni di guerra subiti, in cambio delle decime di spettanza del patriarca aquileiense (274 urne di vino e 3 urne di olio) ricostruisca le mura della città. Per lo stesso motivo, il 14-11-1414 Venezia ridusse a Isola i dazi d lire 950 a 500. La guerra contro l’Aquilea fu molto conveniente per Venezia, perché nel 1420 la Serenissima riuscì a prendere il controllo di tutte le proprietà del patriarca di Aquilea in Istria. Venezia spezzò il potere civile dei patriarchi di Aquileia in Istria e consolidò ulteriormente la propria supremazia sulle città istriane.
Negli anni 1470-1499 le forze turche due volte si fermarono a ridosso di Isola, senza però attaccarla; i Turchi saccheggiarono però i villaggi nei suoi dintorni.
Nel XVI secolo Venezia si imbatté in una guerra contro gli Asburgo e la Turchia. Lo scontro con l’imperatore Massimiliano durò (con sporadiche tregue) 25 anni. Le città di Capodistria, Isola e Pirano firmarono l’armistizio con Trieste e si schierarono dalla parte di Venezia. In questo conflitto bellico fu definitivamente tracciato il confine tra la Regione asburgica della Carniola e la Repubblica di Venezia.
Il 29-9-1346 gli Isolani, radunatisi davanti al palazzo del comune, raggiunsero un nuovo accordo con il convento; pur di liberarsi del gastaldo e del giudice del convento, furono disposti ad aumentare le decime: alle prestabilite 102 urne di vino all’anno ne furono aggiunte altre 300, più 6 urne di olio e 6 staia di grano. Da allora, la conclusione dell’accordo veniva festeggiata dagli Isolani come festa comunale, sebbene nei decenni che seguirono i termini dell’accordo furono spesso violati. Il 2-4-1384 gli Isolani promisero al convento 400 urne di vino, 6 urne d’olio e 6 staia di grano all’anno. Ma visto che per numerosi anni gli Isolani avevano omesso di pagare al convento le decime, gli affitti e gli altri dazi, il 16-4-1401 Venezia li punì con 1000 lire d’ammenda. Il doge, inoltre, il 20-5-1429 ordinò agli Isolani di donare ogni anno al convento di Aquileia, al posto delle decime e degli affitti, 275 urne di ribolla, nonché olio e grano. Al convento di S. Caterina di Isola il comune dal 1429 in poi, in occasione della festa di San Martino dovette pagare 330 piccole libbre di vino invece di 275 urne, e consegnargli entro l’11 febbraio dell’anno successivo 3 urne d’olio. Ai canonici di Capodistria il comune dovette altresì cedere i quartesi (quarti delle decime). I pagamenti dei dazi da parte degli isolani furono tutt’altro che regolari: ne sono la prova le frequenti lamentele che l’abbadessa scrisse al doge, ad esempio quella del 1510, anno in cui Isola mancò di pagare al convento 330 piccole libre di vino e 6 urne d’olio. Nel 1571 gli Isolani tentarono di liberarsi della fastidiosa presenza dei procuratori del convento: nominarono loro stessi un esattore dei dazi monasteriali. Per la popolazione ridotta al lastrico, nel 600 e nel 700 questi dazi rappresentavano un grande sacrificio.
Le epidemie di peste
Nel XVI e nel XVII secolo le genti istriane furono falcidiate dalla peste. Il numero degli abitanti di Capodistria che all’inizio del XVI secolo si aggirava tra i 9 e i 10 mila, in seguito alla peste si ridusse a sole 2310 persone; anche Pirano negli anni 1557-58 perse due terzi dei propri abitanti. Negli anni 1630-31 ci fu una seconda epidemia di peste in seguito alla quale a Capodistria rimasero solamente 1800 cittadini. Secondo il censimento effettuato dai Veneziani, nel 1649 rimasero in tutta l’Istria solamente 49332 persone. Per questo motivo il senato di Venezia nel 1556 nazionalizzò i terreni non coltivati e li colonizzò con i profughi fuggiti dai paesi dei Balcani dominati dai Turchi.
Sebbene Isola fosse da sempre nota per il suo clima salutare e non sapesse cosa fosse la malaria, tra gli anni 1505 e 1632 la peste seminò la morte in città per ben 16 volte, sterminando gli abitanti riducendone il numero a sole 1490 persone nell’anno 1595, quando appena nel 1581 ce n’erano ancora circa 3000. Le ripetute epidemie di peste decimarono la popolazione di Isola, ne sospesero quasi del tutto il commercio con l’entroterra e con Venezia e ne compromisero seriamente l’economia. Venezia fu quindi costretta ad esonerare Isola dai debiti e da numerosi dazi. Agli isolani permise addirittura la libera vendita del pesce. A causa della precarietà della situazione, Isola nel 1559 rivolse al podestà di Capodistria la richiesta per aiuti in grano e altri viveri. Nel 1590 Venezia concesse a Isola un prestito di 500 ducati per rifornirsi di grano ed altre provviste.
Il declino della Repubblica di Venezia
Nel XVII secolo Istria dovete far fronte ad un generale ristagno economico e culturale che si aggravò ulteriormente con la peste del 1630 che ne decimò la popolazione. Intere aree rimasero deserte, l’attività agricola registrò un forte calo, i terreni rimanevano incolti. I Veneziani continuavano a colonizzare le terre istriane.
Le incessanti lotte per il predominio nel Mediterraneo logorarono Venezia che continuava a perdere sia l’autorità che le terre: ne risentirono il commercio e l’economia in generale. Il declino della Serenissima si ripercosse anche sui comuni istriani. Quando il 18-3-1719 l’Austria fondò i territori liberi delle città di Trieste e Fiume, il declino economico delle città istriane non fece che peggiorare. Anche per Isola i tempi divennero sempre più duri: la abbandonarono persino gli Ebrei, alcune famiglie nobili si estinsero, altre espatriarono. Nel XVIII secolo la gente immiserita sopravviveva grazie al contrabbando: l’Istria veneziana fu inondata di denaro austriaco. In quel periodo Isola era soprannominata “famosa” (derivativo da “fame”), Capodistria “la dotta” e Pirano (Piran) “pien di pan”.
Le leggenda del miracolo di San Mauro
La leggenda narra che il 23-10-1380 la flotta genovese arrivò a ridosso di Isola. Nella disperazione i cittadini si rifugiarono nella chiesa parrocchiale. Le loro preghiere furono esaudite: una colomba bianca si alzò in volo da sopra la chiesa e raggiunse le navi genovesi che non riuscivano a vedere Isola a causa di una fitta nebbia che San Mauro fece improvvisamente calare sopra la città.
La colomba si diresse verso il mare aperto e i Genovesi la seguirono, convinti che le colombe non volano mai lontano dalla terraferma. Dopo che aveva condotto il nemico in mare aperto, la colomba ritornò a volteggiare sopra la chiesa di San Mauro con un ramoscello d’ulivo nel becco, quale segno di pace e tranquillità. Da allora, la colomba col ramoscello d’ulivo su uno sfondo azzurro è il simbolo e lo stemma di Isola, e il 23 ottobre si celebra la festa comunale.
La guerra austro-francese
Dopo la caduta della Serenissima e la guerra austro-francese del 1797, l’Istria e la Dalmazia spettarono all’Austria. Seguì un’occupazione francese di breve durata (1805 – 1813) dopo la quale per Isola iniziò un periodo di prosperità economica che durò dal 1813 fino al 1918 e che coincise in parte con la seconda occupazione austriaca di queste terre. Grandi cambiamenti avvennero anche nella vita pubblica: la nuova costituzione austriaca, infatti, garantiva (almeno sulla carta) a tutti i popoli gli stessi diritti riguardo all’istruzione e dinnanzi alle autorità.
Come tutte le città istriane, Isola rimase sotto la Repubblica di Venezia fino al 1797, quando nel mese di maggio la Serenissima dovette arrendersi a Napoleone. Il 5 giugno di quell’anno si arrivò persino ad uno scontro tra gli Isolani pro-francesi e quelli pro-austriaci. Due francofili isolani raggiunsero l’ultimo podestà veneziano Niccolò Pizzamano che stava fuggendo da Isola: lo picchiarono e lo uccisero.
Il 18-4-1797 tra la Francia e l’Austria venne firmato un accordo di divisione segreto che permise all’Austria di occupare l’Istria e diede mano libera ai Francesi nei confronti dell’Italia. Nell’ottobre dello stesso anno venne firmato a Campoformio il trattato di pace, in seguito al quale l’Austria ricevette tutti i territori venti dell’Adriatico. Nel giugno del 1797 i suoi soldati invasero l’Istria; le autorità austriache di Isola avviarono subito il processo contro i ribelli. Due assassini in fuga furono condannati all’impiccagione. Nel periodo del primo assedio austriaco (1797-1805) alle città del litorale venne riconosciuto il diritto alla libera navigazione ed al libero commercio.
Con il trattato di pace firmato il 27-12-1805 a Bratislava, gli Austriaci che nella guerra contro i Francesi ebbero la peggio dovettero lasciargli tra l’altro anche l’Istria. Le forze francesi arrivarono a Isola il 23-8-1806. L’Istria fu annessa al Regno napoleonico d’Italia. Quando nel 1809 gli Austriaci persero una seconda volta contro i Francesi, il 14-10-1809 i Francesi decisero di annettere l’Istria alle Province illiriche. Dopo la sconfitta di Napoleone in Russia, le Province Illiriche finirono di nuovo nelle mani degli Austriaci. Nel settembre del 1813 gli Austriaci occuparono di nuovo anche l’Istria, che rimase sotto il loro potere fino alla fine della Grande Guerra nel 1918.
L’Istria assegnata all’Italia
Dopo la fine della Prima guerra mondiale l’Istria fu assegnata all’Italia. Nel novembre del 1918 le truppe Italiane invasero Isola. Con il rattato di Rapallo firmato il 12 novembre 1920 il territorio di isola fu definitivamente annesso all’Italia.
Nel novembre del 1918 l’intero territorio istriano fu ceduto all’Italia e vi rimase fino a settembre del 1943 ossia fino alla capitolazione dell’Italia, in seguito alla quale l’Istria fu occupata dai Tedeschi. Per la gente quelli erano tempi duri, tanto che l’11-9-1943 i cittadini, ridotti ad una miseria totale, irruppero e scassinarono il conservificio Arrigoni. Nell’attacco una donna finì uccisa dai carabinieri. La massa di gente portò via dalla fabbrica 600 quintali di olio e zucchero. Alla fine del 1945 Isola con l’aiuto delle forze marine di Capodistria fu finalmente liberata.
Dopo la Seconda guerra mondiale
Isola visse grandi cambiamenti anche dopo la Seconda guerra mondiale, soprattutto dopo gli anni 1954 e 1956 quando in seguito alla definizione della nuova linea di confine gran parte della popolazione italiana fini in esilio. In città cominciarono ad arrivare genti dei villaggi circostanti e dell’entroterra della Slovenia.
Dopo la Seconda guerra mondiale Istria fu annessa alla zona B del Territorio Libero di Trieste, amministrato dalle autorità militari jugoslave. Nel 1954 con il Memorandum di Londra Istria fu assegnata alla Jugoslavia. L’esodo della popolazione italiana, iniziato subito dopo la Seconda guerra mondiale, raggiunse l’apice nel 1954. Più del 90 % degli italiani andò via da Isola; la città fu insediata dagli abitanti dei villaggi circostanti e dell’entroterra della Slovenia.